LA CORTE D'APPELLO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
                           PREMESSO IN FATTO
    Il 15 marzo 1990 Olivari Claudio, Olivari  Luciano,  Rossi  Franco
 furono  sottoposti  a  fermo  di  polizia  giudiziaria  ad  opere dei
 carabinieri di Breno in quanto ritenuti responsabili di concorso  nei
 reati  di  porto  e  detenzione  di arma da guerra, di armi comuni da
 sparo, di munizioni e di ricettazione di autovetture.
    Su richiesta del p.m. il giudice per le indagini  preliminari  del
 tribunale  di  Brescia,  sentiti  i fermati, convalidava il fermo con
 ordinanza 19 marzo 1990 in relazione ai reati di cui  agli  artt.  81
 cpv.,  110 del c.p., 10, 12, 14, della legge n. 497/1974 e 23 terzo e
 quarto comma, della legge n. 110/1975, 624 e 625 nn. 2 e 7 del  c.p.,
 e  disponeva  l'applicazione della misura cautelare della custodia in
 carcere.
    Sempre su richiesta del p.m. il g.i.p. emetteva decreto in data 24
 maggio 1990 con quale disponeva procedersi con giudizio  immediato  e
 fissava la udienza al 12 luglio 1990. Prima di tale udienza pero' gli
 imputati  chiedevano  procedersi  con  giudizio  abbreviato  a  sensi
 dell'art. 458 del c.p.p. con  tempestiva  notificazione  al  p.m.  il
 quale manifestava il proprio consenso.
    Dopo  di  che,  con  ordinanza  8 giugno 1990, il g.i.p. disponeva
 procedersi con rito abbreviato e fissava l'udienza avanti a  se'  per
 il 27 giugno 1990.
    Nel  giorno  fissato  per  l'udienza l'imputato Olivari Claudio ha
 presentato dichiarazione di ricusazione del g.i.p. dott.ssa Francesca
 Morelli  assumento  che  la  stessa  versava  nella   situazione   di
 incompatibilita'  prevista  dall'art.  34,  secondo comma, del c.p.p.
 deducibile come motivo di ricusazione a sensi del successivo art.  37
 primo comma.
    Sulla  dichiarazione si e' pronunciata negativamente questa corte,
 sezione feriale con ordinanza 26 luglio 1990.
    L'udienza avanti al g.i.p. dott.ssa Morelli, che il 27 giugno 1990
 era stata rinviata sine die, ha avuto luogo il 24 settembre 1990. Con
 sentenza in pari data il g.i.p. ha affermato la responsabilita' degli
 imputati in ordine ai reati loro  ascritti  condannandoli  alla  pena
 ritenuta  di  giustizia.  Avverso la sentenza Olivari Claudio e Rossi
 Franco hanno proposto appello.
    All'odierna udienza i difensori degli  imputati  appellanti  hanno
 chiesto   la   declaratoria  di  nullita'  della  sentenza  impugnata
 richiamando la sentenza  15-26  ottobre  1990,  n.  496  della  Corte
 costituzionale  che  ha  dichiarato  la illegittimita' costituzionale
 dell'art. 34, secondo comma, del codice  di  procedura  penale  nella
 parte  in  cui  non  prevede  che non possa partecipare al successivo
 giudizio abbreviato il giudice per le indagini preliminari presso  la
 pretura  che  abbia  emesso  l'ordinanza di cui all'art. 554, secondo
 comma, del medesimo codice.
    L'art. 554 secondo comma considera la  ipotesi  del  p.m.  che,  a
 conclusione  delle indagini preliminari, proponga al g.i.p. presso la
 pretura  richiesta  di  archiviazione,  richiesta   che   non   trova
 consenziente  il  g.i.p. Questi restituisce con ordinanza gli atti al
 p.m. disponendo che, entro  dieci  giorni,  lo  stesso  p.m.  formuli
 l'imputazione.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    La  questione  relativa  alla  incompatibilita' del g.i.p. ha gia'
 avuto nel presente  procedimento  una  soluzione  definitiva  con  la
 citata  ordinanza 26 luglio 1990 della sezione penale di questa Corte
 e non puo' essere riproposta.
    Ne'  gli  imputati  possono  utilmente  invocare  la  sentenza  n.
 496/1990  della  Corte  costituzionale  per  ottenere  dal giudice di
 appello una sentenza di annullamento della sentenza impugnata perche'
 la pronuncia di incostituzionalita' investe l'art. 34, secondo comma,
 del c.p.p. con specifico riferimento al g.i.p. presso la pretura che,
 disattendendo la  richiesta  di  archiviazione,  ordini  al  p.m.  di
 formulare  la  imputazione cioe', in sostanza, di esercitare l'azione
 penale  della  quale  il  p.m.  e'  e  continua  ad  essere  titolare
 esclusivo.
    Non  e'  pertanto  lecito  ritenere che la cessazione di efficacia
 della norma dell'art. 34 del c.p.p.  conseguente  alla  pronuncia  di
 illegittimita'  costituzionale  -  che  e'  l'effetto  tipico a sensi
 dell'art. 136 della Costituzione - operi anche  per  fattispecie  di-
 verse  da  quella  presa  in  esame  (nel  nostro caso l'art. 554 del
 c.p.p.).
    Tanto piu' che la Corte costituzionale  non  ha  dichiarato  altre
 disposizioni   del   codice  di  procedura  penale  che  risultassero
 illegittime come di conseguenza della decisione  adottata,  ai  sensi
 dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, numero 87.
    Che  anzi  la motivazione della sentenza costituzionale evidenzia,
 nell'ultimo capoverso, che la illegittimita' dell'art. 34 del  c.p.p.
 trova il suo fondamento nel riscontrato contrasto con la direttiva n.
 103  della  legge delega che, in tema di processo pretorile, imponeva
 una necessaria distinzione fra funzioni requirenti  e  giudicanti  in
 antitesi  alla  precedente  disciplina  che cumulava nella figura del
 pretore le due funzioni con effetti ibridi  e  poco  conferenti  alla
 garanzia   di   inparzialita'.   Siffatta  contaminazione  riappariva
 sicuramente nella situazione ipotizzata nell'art. 554, secondo comma,
 del  c.p.p.  ed  e'  comprensibile  che,  con  riferimento   a   tale
 situazione, il giudice costituzionale abbia dichiarato illegittima la
 norma  dell'art.  34 del c.p.p. sulla incompatibilita' nella parte in
 cui non vieta  al  g.i.p.  di  pretura  di  partecipare  al  giudizio
 abbreviato  quando lo stesso, di fronte alla inazione del p.m., abbia
 sviluppato una iniziativa determinante per la procedura  destinata  a
 sfociare in una sentenza.
    Situazione  diversa  e  non  confliggente  con la direttiva n. 103
 della legge delega e di conseguenza con l'art. 76 della  Costituzione
 e'  quella sottoposta all'esame di questa corte perche', nel disporre
 su richiesta degli  imputati  con  l'assenzo  del  p.m.  il  giudizio
 abbreviato,  la  dott.ssa  Morelli non esercitava funzioni riquirenti
 stimolando un p.m. inerte  ad  attivarsi  perche'  si  celebrasse  un
 processo a carico degli imputati.
    Tuttavia  la  corte  non  puo'  disconoscere  la  fondatezza delle
 osservazioni esposte dalla difesa circa la menomazione della garanzia
 di imparzialita' che si realizza  allorquando  il  g.i.p.  dopo  aver
 disposto il giudizio immediato, che presume la evidenza della prova a
 carico  dell'imputato,  operando  una  scelta  tra  le  due soluzioni
 offertegli dall'art. 455 del c.p.p.  che univocamente  dimostra  come
 egli  condivida la valutazione espressa dal p.m. sulla prova evidente
 della  responsabilita'  dell'imputato,  passi  poi  a  decidere   nel
 giudizio  abbreviato  (chiesto  dall'imputato  che  si  avvale  della
 facolta' attribuitagli dall'art. 458 del c.p.p.) che si  caratterizza
 per  il  divieto  di  acquisire  ulteriori  prove  ma che deve essere
 assolutamente aperto cosi' all'esito della  condanna  come  a  quello
 dell'assoluzione,  e  che  correlativamente  postula  un  giudice che
 neppure presuntivamente possa ritenersi condizionato da una pregressa
 valutazione del merito.
    Considerazioni codeste che  e'  dato  cogliere  nella  motivazione
 della sentenza costituzionale invocata dalla difesa.
    Sotto questo profilo, e cioe' per ritenuto contrasto con gli artt.
 25  e  101  della  Costituzione  che  garantendo  il giudice naturale
 precostituito  per  legge  sottendono  l'essenziale  requisito  della
 indipendenza  di giudizio vale a dire la certezza che chi e' chiamato
 a giudicare sia assolutamente libero da convincimenti formatisi prima
 o fuori dal processo, la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  34  del  c.p.p.  puo'  essere sollevata di ufficio a sensi
 dell'art. 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,  per  il
 quale  il  giudizio  in  corso  va dichiarato sospeso, non potendo il
 giudizio stesso essere  definito  indipendentemente  dalla  soluzione
 della questione di costituzionalita'.